Appuntamenti sentimentali

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di Franco Di Giangirolamo/Il 2017 si è annunciato come un vero anno nuovo, di quelli dai quali  ci si aspettano, chissà perché, delle novità. Niente di particolarmente eclatante: un fastidioso e condizionante male al ginocchio, che avrei scoperto dopo vari mesi essere frutto dei miei annosi problemi di schiena (che si è aggiunto agli acciacchi ordinari della vecchiaia ai quali non si può rinunciare, anche solo per la soddisfazione di potersene lamentare) e una nuova attività lavorativa di mia moglie, dopo un periodo non lungo di disoccupazione.

Non potevo immaginare che di questi due eventi normalissimi avrei approfittato per ravvivare i miei pomeriggi con una serie di “appuntamenti sentimentali” che si sarebbero infittiti con il passare dei mesi migliorando di molto la qualità della mia vita da emigrato che, a volte, è abbastanza monotona, anche quando impegnata.
Da allora, infatti, tre o quattro volte la settimana, in genere a  metà pomeriggio, mi dedico a me stesso, mi vesto meno sciattamente del solito, a volte, ma molto raramente, lucido le scarpe (è una delle cose che più odio fare) e mi avvio, badando bene di essere in anticipo, al mio consuetudinario ma sempre ambito, appuntamento sentimentale.
Trotterellando alla meglio fino al portone, sorrido ai coinquilini, in gran parte giovani e stranieri, lanciando dei  Chuess o Ciao a destra e a manca, controllo la buchetta della posta, saluto chi trovo in portineria e via verso la stazione Ostbahnhof.

Lancio una occhiata debolmente inquisitoria agli operai che lavorano nel cantiere davanti casa che a quell´ora, cominciando a faticare alle sette del mattino, non ne vogliono mezza e mi dilungo qualche secondo di troppo se ci sono scavi e cose del genere. D´altra parte, stanno edificando una casa protetta per anziani alta 4 piani e sono direttamente interessato, come possibile utente, alla buona esecuzione dei lavori. Mi sento giustificato, per motivo personale, a svolgere il ruolo di Umarel (esistono anche in Germania, cosa credete?!!), che, normalmente, cerco di praticare con discrezione, ovvero dalla finestra del mio appartamento al primo piano, dal quale posso studiare con calma il lay out del lavoro edile e dire la mia, tra me e me, come suole fare chi di lavoro manuale sa tra il poco e il niente. Debbo dire che, come Umarel, sono un po’ scarso: condizionato dai miei trascorsi sindacali, solidarizzo con i lavoratori quando,sotto la pioggia, continuano indifferenti a fare il loro mestiere, oppure quando è molto freddo, lancio dei consigli mentali sulla sicurezza e non penso quasi mai a “come si lavorava ai miei tempi“, che  è un classico dell´autentico Umarel.

D´altra parte sarebbe una nota stonata per uno come me che considera già “un lavoro“ piantare uno stop in un  muro. Non posso però evitare di chiedermi, buttandola in politica, perché in Italia la parola “domiciliarietà“ è servita per bloccare gli investimenti in case protette e scaricare gran parte dei problemi degli anziani sulle famiglie, mentre qui si continuano a costruirne (io ne ho tre nel raggio di 100 metri da casa mia) e dicono che non sono sufficienti. Forse perché pensano al futuro, avendo già registrato che, per ragioni di prezzo, ormai migliaia di anziani tedeschi sono costretti ad andare in case protette nella Repubblica Ceca e in Polonia. In altre parole, mentre da noi è una gara fra politici su chi riduce posti letto in ospedale, ridimensiona Case protette e non costruisce case popolari, qui è il contrario.  Anche i tedeschi vivono nel capitalismo più sfrenato, ma di “muri sociali“ almeno si parla senza l´alibi della domiciliarietà.

Ma l´appuntamento sentimentale si approssima e debbo andare. Costeggio la Casa protetta  funzionante, a quell´ora sonnecchiosa e deserta, fatta eccezione per qualche parente o volontario che accompagna i non autosufficienti a passeggiare, fendo la folla sotto l´albergo vicino (forse un convegno?) accelero il passo,  attraverso la Hermann Stoehr Platz e saluto il pietrone che ricorda l´omonimo pacifista e resistente antinazista, ucciso il giorno del solstizio d´estate del 1940 nel carcere di Berlin-Ploetzensee, mi accerto attraverso la quantità di rifiuti a terra che i senza fissa dimora (Obdachlose) siano stati nutriti dalla specifica missione che alle 14  fornisce un certo numero di pasti caldi e bevande, che i chioschi fuori dalla stazione siano tutti attivi e mi inoltro impavido nel ventre della stazione.

Solito via vai di lavoratori e turisti, poco interessanti d´inverno, molto stimolanti d´estate, di qualunque sesso siano. A Berlin bisogna farci l´abitudine: mai viste tante fogge diverse e originali di abbigliamento, di pettinature, di colori. Insomma umanità di tutti i generi che si esibisce liberamente come meglio crede, soprattutto se giovane. Solo i turisti europei tendono alla omogeneità. Non è poi così difficile personalizzare, perché i tedeschi hanno tanta poca cura e gusto nel vestirsi e nel portamento che sembra studino la notte su come ridimensionare il loro eventuale fascino, ma, in compenso, sono cittadini molto liberi in una città che non è mai la stessa e sono esagerati nella ricerca delle originalità stravaganti. Gli extraeuropei sono originali naturalmente anche perché non sentono  alcuna pressione sociale per uniformarsi. Perfino io che amo il Thomas Moore dell´Utopia, e metto casualmente quello che trovo in cima alla catasta dei vestiti, pur non passando da originale e restando piuttosto ordinario, riesco a fare la mia porca figura. I tedeschi, in ogni caso hanno almeno un punto di forza:  badano moltissimo alla comodità più che all’estetica e su questo punto tendo ad apprezzarli.

Ciononostante non si può trascurare di notare il genere femminile, specialmente ora che la moda costringe tutte (le giovani, per fortuna) a portare i pantaloni corti, anzi direi cortissimi e, generalmente, di due numeri più piccoli della propria misura.
Oltre alla spontanea domanda su come si riesca ad infilare sia le gambe che i glutei nei pantaloncini e, di conseguenza, come ci si possa muovere,  non si può restare indifferenti allo sgambare delle nordiche walkirie anche se si può arrivare a valutazioni molto diverse sulla loro bellezza.
Debbo ammettere che spesso mi perdo dietro quel “cosciame”, che a volte mi ricorda Modigliani, altre volte De Chirico, altre ancora  Botero ma più spesso mi suggeriscono voli diversi.

Così la fantasia corre al rapporto tra la lunghezza delle gambe di uomini e donne (ma la nudità di quelle femminili libera maggiormente l’immaginazione matematica) e la loro altezza e suppongo, senza alcuna  prova antropometrica, che potrebbero configurarsi come la costante matematica pitagorica, la sezione aurea, la cui importanza ha attraversato la storia del mondo non solo occidentale, divenendo una “divina proporzione“. Guardando meglio scorgo altre possibili sezioni auree, come  la circonferenza della vita con quella del torace o forse la lunghezza delle gambe con quella del busto, ma sento che Pitagora si rotola nella tomba di fronte a certe volgarizzazioni!

D’altra parte, per me, brachicefalo centro meridionale italico, di gamba corta e corpo tozzo, (una specie di irochese malriuscito), che può ambire alla proporzione aurea solo rapportando l´altezza con la circonferenza alla vita, il problema antropometrico non è trascurabile.
Mentre la memoria annaspa tra vaghi ricordi di antiche letture, a passi piccoli (la gamba è corta!) ma rapidi mi accorgo che sono arrivato all´edicola dove a volte trovo, ma solo dopo le 15, il Corriere e la Repubblica. Titubo un attimo per decidere non tra i due giornali italiani ma se scegliere tra un giornale italiano e uno tedesco (Berliner Zeitung o Suddetutsche Zeitung?). Opto spesso per un comportamento salomonico, il classico fifty fifty a giorni alterni perché i giornali italiani hanno l´inconveniente che li leggo completamente e mi incazzo come una bestia quasi sempre, mentre i giornali tedeschi mi richiedono un impegno talmente grande che, alla fine, mi incazzo come una bestia lo stesso, ma perché non riesco a capire tutto bene.

Quando prendo la Repubblica, ho un solo vantaggio: qualche turista italiano la riconosce, chiede le solite informazioni e io gliele do con dovizia di particolari a seconda della simpatia della persona, e mi sento utile. E non mi dite che per un anziano, che vive solo in una metropoli europea moderna, sentirsi utili per qualche minuto ai compatrioti non sia una cosa quasi necessaria!

Inoltre indicare come si arriva all´Est Side Gallery (1,3 km di pitture murali sul muro originale lungo il fiume Sprea), che è a due passi dalla stazione e meta obbligatoria per i turisti  (altrimenti non tornano a casa!) è anche un fatto politico perché si verifica dalle domande che ti rivolgono quale abisso di ignoranza storico-geografica  circonda questo benedetto Muro di Berlino!
Eppoi che appuntamento sentimentale sarebbe senza un giornale in mano, visto che è d’obbligo che l’uomo arrivi sempre prima del tempo fissato!

Finalmente guadagno l´atrio centrale. Un´occhiata per vedere se tutto è a posto, ovvero se tutti i negozi, i clochard, la ronda della security (in inglese per i turisti perché sicurezza in tedesco si scriverebbe Sichereit), i botteghini e l´odore disgustoso del burro sciolto dei pop corn siano in ordine e, preso atto delle novità sui cambiamenti della rete commerciale, che sono frequenti, volo via verso il luogo topico: l´orso, simbolo di Berlin, dipinto di colori improbabili che, ritto sulla zampe posteriori, sembra attendere te, solo te,  per fare da unico discreto, costante testimone dei tuoi appuntamenti sentimentali.

Mi seggo ai suoi piedi, verifico l´ora e comincio la lettura mentre un occhio fissa la galleria dalla quale lei, perché si tratta di una lei, dovrebbe arrivare.
E infine accade: tra la fitta massa di indaffarati spunta un fiorellino del deserto, col suo incedere caratteristico, uno sguardo quasi meravigliato (tipo: ma guarda chi si vede!), con una punta di civetteria, lanciata da due occhi grandi e sereni, un sorriso largo e affettuoso che si avvicinano, lentamente, a incassare il meritato bacione di benvenuto. Il fiorellino, perché piccola e graziosa, del deserto, perché nata ad Atacama, sapendo bene quanto sia restio a effusioni pubbliche, essendo uomo di altri tempi e con pudori eccessivi (del tutto fuori contesto a Berlin), apprezza ancora di più quel momento nel quale si condensano tante cose che non dico (privacy?).

Così, con un appuntamento ancora una volta andato a buon fine, ci avviamo verso il piano rialzato dove ci attende un bar per il nostro caffè del pomeriggio e per il consueto rapporto sulla giornata. Le cartelle cliniche hanno sempre la priorità ma, passati in rassegna gli acciacchi, che ognuno esagera un po’ per occupare la scena, si passa al lavoro, Occupandosi di “casi sociali“, la mia signora (ah, non avevo detto che si trattava di mia moglie!) mi scarica in poco tempo una quantità soverchia di problematiche piuttosto pesanti, ovviamente di difficile soluzione, che non può non condividere, essendo di quella generazione che sa mantenere distinte la professionalità e l’emotività ma che non riesce affatto a vivere la professione senza una forte empatia. Questo aspetto del carattere della mia signora, che usa tantissimo il cervello senza disconnetterlo dal cuore, mi ha sempre intenerito e a volte anche commosso. Mi ricorda la definizione del medico che dava il grande Maccacaro: il medico è un alleato del malato contro la malattia. Questo stato emozionale inevitabile mi consente di reggere la mole di “problemi degli altri“ ai quali, in altre condizioni, sarei sinceramente disinteressato, visto che a Berlino, essendo una capitale sexy ma povera, le problematiche sociali si respirano per strada e ci fai il callo, volente o nolente.

A volte mi distraggo e perdo il contenuto, ma annuisco e seguo non per opportunistico ruffianesimo, ma perché, in fondo, mi piace quel modo rispettoso e gentile di raccontare, nella sua lingua madre, le vite degli altri, con quello stile grazioso da donna bella alla quale gli anni non hanno tolto quasi nulla.
In queste discussioni faccio esperienza, indirettamente, dello Stato Sociale tedesco e del suo rapporto con la marginalità, così come del sistema assistenziale nelle sue diramazioni organizzative. Quando riuscirò a leggere il tedesco correntemente mi saranno utili per capire come funziona, nel bene e nel male, un sistema bismarckiano che, essendo di vecchio conio, benché modernizzato, mostra crepe e rattoppi che non sono proprio da terzo millennio.

Spesso, guardando la gente sciamare nella piazza troviamo elementi per discutere l’argomento principe, e potrebbe essere diversamente, relativo a figli e nipoti , così come ai familiari numerosi  che sono in Cile e in Italia, e la discussione oscilla tra preoccupazioni, nostalgie, programmi e ricordi, aggiornamenti, etc. Da emigrati e quasi apolidi, ci chiediamo spesso dove e quale sarà il nostro futuro, ci interroghiamo sui motivi che potrebbero riportarci in Italia o in Sud America e ci perdiamo volentieri tra le tante ipotesi possibili senza mettere in conto che la vita è corta e i guai sempre in agguato. Sappiamo che il futuro, che per me non è neanche troppo lungo, non è tutto nelle nostre mani, ma facciamo piani e sogni come se avessimo tanto tempo e i guai non fossero in agguato. Forse un modo per restare ottimisti, attivi, anche umani ed esercitarci ad affrontare senza angoscia  i casi della nostra vita, oltre che di quella degli altri.

Stanchi delle chiacchiere, e a volte anche del caffè non sempre fantastico che ci viene somministrato, prendiamo la strada del ritorno a casa, generalmente scambiandoci le notizie del giorno sia locali che internazionali e pensando alla cena sulla quale, da pessimo Hausmann (casalingo), decido sempre all’ultimo momento, non sempre con risultati apprezzabili.
Un altro appuntamento sentimentale si conclude al tramonto. Lasciamo volar via dietro di noi i tanti piccoli frammenti di vita che lo hanno animato, leggeri come i passi della fortunata, strana, innamorata e ormai anche stanca, coppia di emigrati economici.

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